perché questo tema è on-fire
Il sistema internazionale sta vivendo una transizione turbolenta: guerre ad alta intensità, crisi umanitarie prolungate, frizioni tecnologiche e riallineamenti economici stanno riscrivendo le regole del gioco. In questo contesto, due conflitti — Palestina/Israele e Ucraina/Russia, funzionano da cartine di tornasole del nuovo equilibrio di potere. L’Europa appare sempre più ai margini, gli Stati Uniti oscillano fra sostegno e riposizionamento strategico, mentre l’asse Xi – Putin consolida una ‘quasi-alleanza’ capace di influenzare flussi energetici, supply chain e diplomazia globale.
La questione palestinese: guerra lunga, crisi umanitaria, equilibrio regionale
Nella Striscia di Gaza la combinazione di operazioni militari, blocchi e collasso dei servizi ha generato una crisi umanitaria senza precedenti. Il nord della Striscia è in carestia conclamata; gli accessi umanitari sono intermittenti e spesso insufficienti. E’ evidente a tutti e non viene neanche nascosto dagli Israeliani che l’obbiettivo è la sostanziale cacciata dei Palestinesi dalla loro terra, i metodi usati sono stati definiti da molti osservatori da genocidio, con le conseguenze che tutto cio comporta.Il rischio di ulteriore destabilizzazione regionale resta alto: ogni escalation a Gaza si propaga lungo tre direttrici — Libano/Hezbollah, Cisgiordania e Mar Rosso — con implicazioni su traffici marittimi e assicurazioni, quindi sui costi dell’energia e delle merci.
Geopoliticamente, il conflitto ridefinisce la postura di attori chiave: Egitto e Giordania cercano di preservare stabilità interna e rapporti con Washington; i Paesi del Golfo oscillano tra normalizzazione con Israele e pressioni domestiche e regionali a favore dei palestinesi. L’Iran sfrutta la frammentazione per aumentare la propria influenza tramite proxy, con il termine ‘proxy’ si indicano forze per procura, cioè gruppi o milizie locali sostenuti politicamente, militarmente o finanziariamente da uno Stato esterno. Nel caso dell’Iran, i proxy più noti sono Hezbollah in Libano, gli Houthi in Yemen e diverse milizie sciite in Iraq e Siria. Attraverso questi attori, Teheran estende la propria influenza senza impiegare direttamente l’esercito regolare.
Il risultato è un ‘equilibrio instabile’ che intrappola l’Europa in un dilemma: sostenere la risposta israeliana alla sicurezza o imporre condizionalità più rigide per aprire corridoi umanitari e negoziati credibili.
Un punto critico che molti osservatori sottolineano riguarda il doppio standard: mentre l’Europa e l’Occidente hanno imposto severe sanzioni contro la Russia per l’aggressione in Ucraina, la risposta di fronte alle operazioni militari israeliane e alle devastanti conseguenze sulla popolazione civile palestinese è stata molto più debole. Questa asimmetria mina la credibilità europea e internazionale, alimenta accuse di ipocrisia e riduce l’efficacia della diplomazia occidentale nel Sud globale, dove la percezione è che i diritti umani vengano difesi solo in modo selettivo.
Ucraina: guerra di logoramento, dipendenza dagli alleati, logistica come arma
Sul fronte ucraino, il conflitto resta una guerra di logoramento ad alta intensità. Kiev dipende in modo cruciale da sistemi di difesa aerea e munizionamenti occidentali (Patriot, HIMARS) per mitigare gli attacchi missilistici russi e proteggere infrastrutture energetiche in vista dell’inverno. Le forniture passano sempre più da meccanismi finanziati dagli alleati europei per l’acquisto di armamenti statunitensi, un ibrido che consente a Washington di fornire capacità pur contenendo l’esborso diretto sul bilancio federale.
L’impatto sociale è devastante: milioni di sfollati interni e rifugiati in Europa; la resilienza economica ucraina rimane legata a pacchetti finanziari di lungo periodo e ad investimenti in infrastrutture critiche e minerali strategici. Sul piano militare, Mosca mantiene la superiorità quantitativa, ma sconta sanzioni, vincoli tecnologici e usura; Kiev necessita di un flusso continuo e prevedibile di munizioni e difese aeree per evitare shock sistemici alla rete elettrica e alla base industriale.
Europa: tra marginalizzazione geopolitica e centralità economico-finanziaria
La narrativa della ‘Europa marginale’ coglie un punto reale: l’UE fatica a proiettare potenza dura, dipende dalla protezione NATO e subisce le esternalità di crisi vicine ma non controllabili (Gaza, Ucraina, Sahel). Tuttavia, l’Europa resta un attore di primo piano sul versante economico e regolatorio: continua a mobilitare pacchetti finanziari pluriennali per Kiev e definisce standard che condizionano mercati globali (energia, digitale, clima). Il nodo è trasformare questo peso ‘normativo-finanziario’ in leva strategica, accorciando i tempi decisionali sulla difesa, sugli approvvigionamenti energetici e sulle catene del valore critiche (microelettronica, batterie, terre rare).
Stati Uniti: sostegno selettivo, priorità interne, messaggi ambigui
Washington ha ricostruito un sostegno all’Ucraina attraverso schemi che spostano parte dell’onere sugli alleati europei, mentre insiste su obiettivi limitati e sostenibili nel tempo. La politica estera è condizionata da priorità interne (economia, immigrazione, polarizzazione) e da un approccio più transazionale che ideologico: meno ‘nation-building’ (rifare da zero uno Stato dopo una guerra) più ‘burden-sharing’ (spartirsi i costi e le responsabilità di sicurezza). Ciò produce messaggi ambigui per gli alleati, che percepiscono oscillazioni tra fermezza e riallineamento tattico.
L’asse Xi–Putin: complementarità strategica e stress test per l’Occidente
Pechino e Mosca hanno rafforzato una partnership definita ‘senza limiti’. La cooperazione si muove su quattro binari: energia (idrocarburi russi per alimentare l’industria cinese e diversificare le rotte), tecnologia a doppio uso, finanza (sistemi di pagamento alternativi, yuanizzazione selettiva degli scambi) e diplomazia (coordinamento nelle sedi multilaterali e nel Sud globale). Non è un’alleanza formale, ma una convergenza di interessi a ridurre la capacità coercitiva occidentale sulle catene del valore.
L’asse ha limiti: Pechino evita vincoli automatici che la esporrebbero a sanzioni secondarie su larga scala; Mosca diffida di una dipendenza eccessiva dalla Cina. Ma, nel breve periodo, l’intesa produce effetti reali su prezzi energetici, disponibilità di componenti e tenuta delle sanzioni, imponendo all’Europa di accelerare sulla sicurezza economica e sui meccanismi anti-coercitivi.
Fili che si intrecciano: come Gaza e Ucraina riscrivono le agende europee
I due teatri di crisi sono collegati: entrambi drenano risorse europee (finanziarie e politiche), mettono a rischio rotte marittime e infrastrutture energetiche, alimentano shocks sui prezzi e testano la credibilità dell’UE come attore di sicurezza. L’asse Xi–Putin capitalizza su queste frizioni presentandosi al Sud globale come alternativa all’‘ordine occidentale’, mentre Washington spinge per un maggiore burden-sharing europeo. L’Europa deve quindi: (a) stabilizzare il vicinato con incentivi e deterrenza; (b) proteggere gli interessi economici chiave; (c) parlare con una voce sola su export-controls e difesa comune.
Cosa dovrebbe fare l’Europa (e l’Italia) nei prossimi 12 mesi
- Difesa e industria: incrementare gli ordini congiunti di sistemi d’arma e difese aeree, costruire scorte strategiche, accelerare i co-investimenti cross-border transnazionali.
- Energia e rotte: proteggere corridoi mediterranei e del Mar Rosso; diversificare GNL e rinnovabili; rafforzare infrastrutture elettriche e storage.
- Sicurezza economica: screening degli investimenti, anti-coercizione commerciale, resilienza su semiconduttori e componenti a doppio uso.
- Diplomazia: iniziativa euro-mediterranea per corridoi umanitari su Gaza con garanzie multilaterali; formato ‘Ramstein europeo’ permanente su Kiev.
- Finanza: rendere strutturale il sostegno a Kiev con strumenti extra-bilancio e garanzie EIB/EBRD; canali dedicati per la ricostruzione energetica.
- Comunicazione: narrativa coerente verso il Sud globale (sicurezza alimentare, debito, clima) per contrastare l’appeal dell’asse sino-russo.
Conclusione: dalla gestione della crisi alla strategia
A mio parere, se l’Europa vuole uscire dalla marginalità percepita deve passare dalla gestione tattica delle crisi a una strategia integrata: deterrenza credibile, autonomia industriale selettiva, diplomazia economica proattiva. Gaza e Ucraina sono lo specchio di un ordine in transizione. L’asse Xi–Putin impone velocità di adattamento. Gli Stati Uniti, nonostante Trump, restano il partner chiave, richiamandoci alla condivisione del peso economico delle armi da mettere in campo. Un aspetto spesso sottolineato in Europa riguarda la natura asimmetrica di questo burden-sharing. Washington richiama gli alleati a un impegno maggiore sugli armamenti, ma in realtà ne beneficia due volte: da un lato riduce la necessità di impiego diretto delle proprie truppe; dall’altro lato sostiene l’industria militare nazionale, visto che le principali aziende globali del settore (Lockheed Martin, Raytheon, Northrop Grumman, ecc.) sono statunitensi. In questo modo, parte consistente delle risorse messe dagli europei rientra nell’economia americana. È una logica che ricorda l’approccio già promosso da Trump: più spese militari da parte degli alleati, ma con standard e forniture in gran parte americane, una dinamica che in Europa viene percepita come squilibrata.” Tolti alcuni argomenti come questo appena citato, dobbiamo comunque sapere che In gioco non c’è solo la sicurezza alle frontiere: c’è la capacità di restare un polo di prosperità e libertà in un mondo più duro.
